“Salvare il pianeta” è il mantra che si sente declamare quotidianamente nella piazza globale da tutti i media e in tutte le manifestazioni. Essere ambientalisti o diventarlo in fretta è un obbligo che ci viene imposto da un uso sconsiderato delle risorse.
A tirare le orecchie al sistema sono loro, quelli sotto i vent’anni. Può sorprendere, ma a rifletterci sopra è la generazione che avanza a vantare i maggiori diritti, considerato che la loro aspettativa di vita è più del doppio rispetto a quella di un cinquantenne di oggi. Saranno loro, i loro figli, i loro nipoti e così via, a doversi prendere carico di un pianeta sull’orlo del collasso.
A tutto questo si accompagna la retorica dei summit sul clima dove si promette in modalità solenne che entro il 2020 ..,30 e ..40 le emissioni saranno ridotte di un bel tot. Allora si dia il via alle auto elettriche, ai sacchetti della spesa che si auto-estinguono, agli asciugamani che non vanno buttati dopo il primo uso. In tutto questo eccitato mutamento di clima c’è una sostanza o meglio un materiale che pur essendo fra i maggiori responsabili delle emissioni globali non viene (quasi) mai portato sul banco degli imputati. Eppure se questa sostanza fosse un paese, da solo sarebbe il terzo per ammontare di emissioni dopo la Cina e gli USA. Visto che nessuno ne parla chiaramente l’ho definito “il silent killer” del pianeta, ma ha un nome e si chiama: cemento.
Qualche mese fa, un amico bloccato nel traffico mi stava comunicando al telefono che non ne poteva più di starsene in coda per buona parte dei suoi quotidiani trasferimenti. Che tutto questo avrebbe inevitabilmente portato alla dissoluzione del nostro sistema per l’enorme quantità emissioni che le nostre auto rilasciano nell’atmosfera. Cercai di tranquillizzarlo dicendo non erano proprio le auto ad essere la causa prima. Mi rispose con un grugnito interrogativo: “Quale sarebbe allora questa prima causa?”. “Il cemento”, gli ho detto. Troncò la telefonata mandandomi a quel paese e aggiungendo che il cemento era una “sostanza neutrale”.
E’ difficile spiegare le conseguenze di un processo che è conosciuto solo dagli addetti ai lavori.
In effetti quando lo vedi sgorgare da una betoniera ti verrebbe mai in mente che il cemento possa essere un killer dell’atmosfera, o meglio, che lo possa essere stato, perché nel momento in cui esce dalla canalina, il delitto si è già compiuto.
E’ infatti nel suo processo di fabbricazione che vanno ricercate le cause e le prove dei delitti che si accumulano in modo esponenziale sotto forma di milioni di tonnellate prodotte.
Nel 2018 la produzione globale è stata di 4,1 miliardi di tonnellate . In questo caso uno vale uno, ovvero per ogni tonnellata di cemento 1 prodotta una tonnellata viene rilasciata nell’atmosfera.
Per la precisione sono due le principali cause di emissione nel processo di produzione.
La prima è provocata da una reazione chimica. La roccia calcarea proveniente dalla cava da cui viene estratta viene progressivamente frantumata e ridotta in
granuli di circa 3 cm di diametro Fonte (EPA1). Successivamente viene additivata con sostanze leganti e convogliata in forni rotanti industriali lunghi anche decine di metri e larghi circa sei. Qui calcare e argilla vengono cotti insieme a una temperatura di fiamma di circa 2.000 gradi. Alla temperatura di esercizio di 1500° il calcare si dissocia in ossido di calcio e anidride carbonica. Si forma così il clinker, un minerale artificiale che esce dal forno e viene poi raffreddato ad aria. Al clinker vengono poi aggiunti gesso e ceneri provenienti dalle centrali termoelettriche, l’impasto viene ulteriormente macinato e si ottiene, come risultato finale, il cemento.
La seconda causa è il consumo di energia necessario per il attivare il processo.
In un cementificio il 60% delle emissioni di CO2 deriva dalla decarbonatazione del calcare, che è formato da calcio, carbonio e ossigeno. Per attivare questo processo occorre fornire enormi quantità di calore.
Quella cementiera è un’industria energivora: per produrre una tonnellata di clinker servono da 3.200 a 4.200 MJ (Mega Joule) In media ogni anno il settore cementiero italiano consuma 2,3 milioni di tonnellate di combustibile fossile non rinnovabile .
2 Se le emissioni di CO2 dovute alla decarbonatazione sono incomprimibili, è però possibile intervenire per ridurre il 40% restante, proveniente dall’utilizzo dei combustibili fossili nel forno.
L’utilizzo di carburanti alternativi come le biomasse prodotte dai rifiuti urbani potrebbe portare ad una riduzione delle emissioni. Secondo Aitec (Associazione italiana tecnico economica del cemento) l’uso dei combustibili alternativi nei cementifici italiani, ai livelli attuali di utilizzo nel nostro paese, consente di evitare l’emissione di oltre 300.000 tonnellate di CO2 l’anno. Questa proposta tende a scontrarsi con l’idea diffusa che qualsiasi rifiuto usato in un processo di combustione porti a ulteriori emissioni, cosa peraltro non vera per quanto riguarda le bio masse gestite in un processo controllato.
Nel frattempo proliferano i tentativi per rendere il cemento verde, che in questa espressione diventa quasi un ossimoro. C’è ben poco infatti nell’attuale processo e negli additivi per poterne mitigare l’impatto ambientale. Una reazione chimica è pur sempre una reazione di non ritorno. Ciò che viene estratto dal suolo e immesso in un processo industriale non può essere definito sostenibile: è semplicemente una sottrazione di risorsa che genera un processo irreversibile.
E’ proprio da qui che occorre ripartire. Se prendi un albero e dopo averlo tagliato ne ripianti un altro le azioni congiunte diventano sostenibili, proprio perché viene attuato in modo organico e reversibile: l’albero tagliato viene rimpiazzato con una giovane pianta che sostituisce quello tagliato. Semplice no?
Il Mass Timber, ovvero l’ingenierizzazione di un processo reversibile, è la sola vera alternativa percorribile. Il cemento è una grande invenzione non non potrà mai essere eliminato, ma certamente ricollocato negli ambiti dove è davvero necessario e non vi sono altre possibilità.
Waugh and Thistleton Architect, quando nel 2009 progettarono Murray Grove il primo edificio multi-piano a Londra dimostrarono che un equivalente edificio in cemento e acciaio avrebbe rilasciato nell’aria fino a 125.000 kg di carbonio. L’uso del CLT in realtà sequestra 185.000 kg di carbonio, per un risparmio combinato di circa 300.000 kg di carbonio . Dato che la sostenibilità ambientale è una delle 3 principali istanze dell’oggi sarebbe doveroso porre l’accento su questi risparmi netti di CO2 possono avvenire solo attraverso il ridimensionamento di un sistema energivoro e all’accettazione di una tecnologia che passa attraverso gli insegnamenti naturali. E come ha affermato un grande architetto ambientalista:
“L’uomo non può competere con la fotosintesi”.
tratto da “Solid Wood Case Studies in Mass Timber Architecture, 3 Technology and Design” – Joseph Mayo,. Solid Wood . Taylor and Francis. Micheal Green
Eugenio decided to leave his previous position as a CEO of a European stainless steel company to found InnovHousing and to apply his knowledge to challenge the status quo in the South African construction industry. His vision is to innovate the local market thanks to the latest European technology and by implementing new efficiency standards of well being. Eugenio is the mastermind of theTreeOne project at Nelson Mandela University.