Autors: PhD Cesare Benzi, Phd Andrea Kalajzic (CRIEL – Research Center on the Internationalization of Local Economies, University of Insubria, Economics Department)
Nell’ultimo quarto di secolo, gli attori del mondo delle costruzioni italiano si sono dovuti confrontare con notevoli cambiamenti derivanti dalla instabilità della congiuntura macroeconomica e di settore, dall’aumentata attenzione ai temi della sostenibilità ambientale, economica e sociale e dalla progressiva affermazione, favorita dall’introduzione del BIM (Building Information Modeling), di modelli digitali di progettazione/realizzazione e programmazione/gestione dei processi edilizi.
Questi cambiamenti conducono a considerare l’edilizia come un sistema complesso in cui gli attori coinvolti devono fare i conti non solo con margini di ricavo e di profitto ridotti e con rilevanti innovazioni tecnologiche, ma anche con una crescente e profonda frammentazione del processo di progettazione e realizzazione degli edifici che interessa ormai una miriade di tecnici e professionisti e di artigiani e di imprese.
Sostanzialmente, l’accresciuta complessità delle dinamiche che interessano il settore delle costruzioni italiano ha dato luogo a due tipologie di risposte. Da un lato, si collocano gli attori che hanno reagito al cambiamento imboccando una via ‘bassa’ allo sviluppo basata esclusivamente sulla competizione di costo e di prezzo. Dall’altro, si trovano invece gli attori che affrontano il cambiamento cercando di collocarsi su una via ‘alta’ allo sviluppo, caratterizzata non solo dall’ormai imprescindibile capacità di controllo dei costi e dalla ricerca dell’efficienza di gestione, ma anche, e talvolta soprattutto, dalla valorizzazione di nuove competenze legate all’innovazione tecnologica dei materiali e dell’impiantistica e alla digitalizzazione del processo edilizio. La via ‘alta’ allo sviluppo quindi conduce all’adozione di modelli organizzativi e di gestione al contempo efficienti e orientati alla realizzazione di obiettivi di sostenibilità ambientale (energia pulita e risparmio energetico, lotta al cambiamento climatico, rispetto della vita sulla terra), economica (crescita sostenibile, creazione di lavoro dignitoso) e sociale (salute e benessere, realizzazione di città e comunità che garantiscano un’alta qualità della vita per tutti).
Un edificio che ha caratteristiche di sostenibilità e di adattamento ai cambiamenti ambientali garantisce una qualità superiore rispetto a quella offerta dagli edifici ‘tradizionali’: in termini economici, tale maggiore qualità si traduce nella riduzione dei costi complessivamente sostenuti da chi utilizza l’edificio lungo tutto l’arco della sua esistenza. Questa riduzione dei costi è tuttavia evidente soltanto se si confrontano le due modalità di costruzione nel lungo periodo.
L’edificio sostenibile è caratterizzato da costi di realizzazione relativamente più elevati, ma da costi di gestione molto bassi, mentre l’edificio ‘tradizionale’ si contraddistingue per costi di realizzazione inferiori e costi di gestione molto maggiori.
Il problema che balza agli occhi dell’economista è che le differenze tra un approccio alla realizzazione dell’edificio basato sulla compressione dei costi e un approccio invece basato sulla valorizzazione di un’ampia varietà di fattori ambientali, economici e sociali appaiono perfettamente chiare agli attori che partecipano al processo edilizio, ma non ai soggetti che compongono la domanda di mercato poiché, generalmente, questi ultimi non possiedono le competenze tecniche per comprendere appieno se un’offerta progettuale può garantire la sostenibilità di lungo periodo dell’edificio.
La pandemia di Covid-19 e le conseguenti risposte di politica economica alla crisi quindi ripropongono in modo ancora più pressante la questione dei motivi che impediscono l’affermazione su larga scala di approcci alla progettazione e alla realizzazione di edifici innovativi, efficienti e sostenibili a vantaggio della sopravvivenza di approcci più ‘tradizionali’ improntati all’esclusiva compressione dei costi.
A questo proposito, la letteratura economica può offrire una risposta attraverso il filone noto sotto il nome di ‘economia dell’informazione’ e, in particolare, attraverso un contributo seminale del 1970 di George Akerlof che ha per oggetto il mercato delle macchine usate (un articolo grazie al quale Akerlof sarebbe poi stato insignito con il premio Nobel per l’economia nel 2001).
L’analisi delle dinamiche che caratterizzano il mercato delle macchine usate conduce Akerlof a concludere che, in un mercato contraddistinto dalla presenza di beni eterogenei e da distribuzione asimmetrica delle informazioni (perché il compratore non è in grado di distinguere compiutamente il rapporto qualità/prezzo dei beni presenti sul mercato) è possibile che, alla fine, possano manifestarsi fenomeni di ‘selezione avversa’ che favoriscono la prevalenza dei produttori che offrono beni di qualità/prezzo inferiori.
Con riferimento al settore delle costruzioni, possiamo illustrare queste conclusioni attraverso il seguente esempio, che ripropone in forma semplificata l’esempio utilizzato da Akerlof nel suo articolo del 1970
Si supponga che il potenziale acquirente sia a conoscenza del fatto che sul mercato delle costruzioni circa la metà degli edifici di nuova realizzazione risponda a caratteristiche di sostenibilità di lungo periodo, mentre l’altra metà degli edifici è stata realizzata secondo criteri ‘tradizionali’. Ipotizziamo, inoltre, che gli edifici con un basso rapporto qualità/prezzo vengano offerti a 100.000 € e quelli con un elevato rapporto qualità/prezzo vengano invece offerti a 200.000 €, ma che il potenziale acquirente non sia in grado di valutare appieno le caratteristiche qualitative degli edifici offerti in vendita. In base alle informazioni (incomplete) di cui dispone, il potenziale acquirente sarà quindi disposto a pagare per un edificio di nuova costruzione:
Tuttavia, in corrispondenza di questo prezzo, soltanto i venditori di edifici ‘tradizionali’ sono disposti a cedere il loro edificio (realizzando, peraltro, un extra-profitto di 50.000 €). I venditori degli edifici sostenibili andrebbero invece incontro a una perdita di 50.000 € e sono quindi destinati a essere spinti fuori dal mercato.
Questa forma di ‘fallimento del mercato’ pone la questione della individuazione di strumenti che consentano di raggiungere un equilibrio caratterizzato dalla efficiente allocazione delle risorse. In generale, questo obiettivo è perseguito cercando di ‘estendere’ l’orizzonte temporale cui fa riferimento il compratore quando deve decidere quale edificio acquistare.
Una politica di differenziazione di prezzo può servire a informare il potenziale acquirente dei costi che sarà chiamato a sostenere nel lungo periodo se sceglie un edificio di bassa qualità. Il potenziale acquirente può quindi fare riferimento al prezzo per ricavare le informazioni necessarie a selezionare il venditore (o l’offerta) che meglio soddisfa i propri bisogni in relazione ai propri vincoli di bilancio. Ma come abbiamo visto sopra, in presenza di distribuzione asimmetrica delle informazioni, i differenziali di prezzo possono non essere sufficienti a indicare correttamente la qualità del prodotto offerto. La politica di differenziazione di prezzo può allora essere utilmente supportata dall’offerta di strumenti finanziari (leasing, mutui con aziende di credito o altri intermediari finanziari specializzati nei comparti della bioedilizia, mutui a lunghissima durata ecc.) che garantiscano al potenziale acquirente la sostenibilità finanziaria dell’investimento nel lungo periodo.
La segnalazione al potenziale acquirente dell’elevato rapporto qualità/prezzo del prodotto offerto può avvenire anche attraverso una politica di certificazioni o il rilascio di garanzie che coprano la funzionalità di lungo periodo dell’edifico o, ancora, attraverso la stipula di assicurazioni con le quali il costruttore garantisce al compratore il rimborso dei danni che l’edificio potrebbe eventualmente subire nel lungo periodo. L’efficacia della segnalazione è funzione della capacità dello strumento utilizzato di favorire l’individuazione di un ‘equilibrio di separazione’, ovvero di un equilibrio che permetta al potenziale acquirente di ‘separare’ le combinazioni qualità/prezzo di livello inferiore da quelle di livello superiore.
La reputazione deriva dalla iterazione di comportamenti che garantiscono la fornitura di prodotti di elevata qualità. L’acquisizione di una reputazione individuale (attraverso la costruzione di un brand) è un processo molto costoso e, nell’ambito delle filiere sempre più ‘allungate’ che compongono il settore delle costruzioni’ potrebbe anche essere del tutto o parzialmente inefficace. Pertanto, spesso si preferisce perseguire l’obiettivo di consolidare una reputazione collettiva legata a specifici territori (si pensi, per esempio, ai marchi DOC, DOCG, IGT) o ad associazioni particolari (per esempio, Klimhaus o Casa Clima Network Lombardia). In questo secondo caso, la realizzazione di edifici in comune tra diversi associati può rappresentare un importante strumento di consolidamento della reputazione collettiva.
Bio:
Andrea Kalajzic, Milano 26/2/1966, laurea in ‘Economia e commercio’ e Dottorato in ‘Economia della produzione e dello sviluppo’ conseguiti presso l’Università degli Studi dell’Insubria. Ricercatore presso il CRIEL (Centro di ricerca per l’internazionalizzazione delle economie locali), Dipartimento di economia, Università degli Studi dell’Insubria.
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Cesare Benzi, Acqui Terme (AL) 22/10/1963, laurea in “Economia e commercio” a Pavia, master in “Economia dello sviluppo” all’Université Pierre Mendés France di Grenoble. Ho lavorato e svolto consulenze per le Università di Pavia e dell’Insubria, oltre che per numerosi enti pubblici. Attualmente svolgo attività di ricerca presso il CRIEL (Centro di ricerca per l’internazionalizzazione delle economie locali), Dipartimento di economia, Università degli Studi dell’Insubria.
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